PERCHÉ SULLE NAVI C'È IL RADAR?
Parlando di pipistrelli e di delfini possiamo dire come la Natura li abbia forniti di un «radar» che permette loro di localizzare a distanza ostacoli e prede. Il principio del funzionamento del radar naturale si basa sulla proprietà delle onde sonore di rimbalzare sugli oggetti e di ritornare verso il luogo da cui sono state emesse.
E', questo, il principio della eco.
I pipistrelli e i delfini, in particolare, non emettono suoni udibili dall'orecchio umano bensì ultrasuoni, onde sonore ad altissima frequenza. Grazie poi ad organi ricettivi particolarmente sensibili, gli animali possono raccogliere l'eco, selezionare i vari impulsi ricevuti e stabilire la forma dell'ostacolo e la natura del nemico o della preda.
Dopo le celebri esperienze compiute da Hertz nel 1887 e da Righi nel 1894 sulle onde elettromagnetiche e sulla loro capacità di riflettersi e di ritornare verso il luogo d'emissione, l'uomo pensò di imitare la natura inventando un radiolocalizzatore.
L'inglese Watson ci riuscì nel 1935 fabbricando il primo effettivo radiolocalizzatore ad impulsi al quale dette il nome di «radar» (sigla dell'inglese «radio detecting and ranging»: radio-rivelatore e misuratore di distanza).
Tre anni dopo l'Inghilterra, preparandosi alla guerra imminente, sistemò impianti radar sulle maggiori navi da guerra e stazioni radar a protezione dell'estuario del Tamigi.
Grazie a questa previdente mossa, infatti, poté volgere a proprio favore la battaglia aerea che la Germania scatenò contro di lei nell'agosto del 1940.
Nel corso del conflitto il radar fu impiegato con successo non solo come radiolocalizzatore ma anche per la direzione automatica del tiro delle artiglierie.
Come funziona un radiolocalizzatore «radar»? Il principio del suo funzionamento è simile a quello descritto a proposito degli animali e consiste nell'irradiare verso l'oggetto ricercato, detto «bersaglio radar» non delle onde sonore ma delle onde elettromagnetiche o radioonde ad impulsi e nel ricevere gli «echi radar», le onde riflesse, cioè, dall'oggetto intercettato.
In particolare, un'antenna fortemente direttiva generalmente di forma paraboloide, emette nello spazio uno strettissimo fascio di microonde, capaci di mantenere una direzione rettilinea ed una velocità pari a quella della luce nel vuoto. La stessa antenna nel contempo è atta a ricevere gli echi riflessi dal bersaglio indirizzandoli ad un ricevitore. Questo amplifica e rivela gli echi grazie ad un indicatore, un oscillografo a raggi catodici.
L'indicatore è costituito da un tubo a grande schermo che, ricoperto di fosforo ed eccitato dai raggi catodici corrispondenti agli echi captati dal ricevitore, ci mostra visivamente, grazie alla persistenza del fosforo (circa 10 secondi), un'immagine precisa del bersaglio.
PERCHÉ CI SONO I MICROFONI?
Il microfono è un apparecchio importantissimo, utilizzato oltre che nella telefonia, come meccanismo capace di trasformare i suoni in tensioni elettriche, anche nella tecnica della registrazione dei suoni e in tutte le applicazioni di elettroacustica.
Vi sono vari tipi di microfoni: noi parleremo dei più comuni e maggiormente usati.
Il tipo di microfono più largamente diffuso ed utilizzato negli apparecchi telefonici è il microfono a variazione di resistenza, noto come «microfono a carbone».
Esso è costituito da una membrana elastica che chiude uno scatolino contenente granuli di carbone. In essi sono inseriti due elettrodi. La membrana, vibrando sotto l'azione dell'onda sonora, comprime più o meno i granuli di carbone facendo variare la resistenza elettrica che essi offrono fra gli elettrodi.
Abbiamo già visto come, nella telefonia, queste variazioni elettriche vengano trasformate dal ricevitore nelle corrispondenti onde sonore con sufficiente fedeltà.
Un tipo di microfono abbastanza diffuso è anche il microfono elettromagnetico, basato sul fenomeno dell'induzione elettromagnetica.
Anch'esso è costituito da una membrana metallica molto sensibile posta di fronte ad una calamita permanente sulla quale sono avvolte una o due bobine. La membrana, vibrando, provoca una variazione del flusso magnetico nel campo della calamita e genera, di conseguenza, una tensione indotta nel circuito formato dagli avvolgimenti.
Un microfono oggi particolarmente diffuso grazie alla sua semplicità costruttiva ed al suo basso costo è il microfono a cristallo basato sul principio della «piezoelettricità», sulla proprietà, cioè, di alcuni cristalli (ad es. il quarzo) di polarizzarsi elettricamente in seguito ad una deformazione meccanica di natura elastica.
Il microfono a cristallo è semplicissimo essendo costituito da una membrana che, vibrando, agisce direttamente su un cristallo piezoelettrico provocando nella sua carica elettrica variazioni corrispondenti alle variazioni di pressione causate dall'onda sonora.
PERCHÉ POSSIAMO VEDERE DELLE IMMAGINI NEL TELEVISORE?
La trasmissione radiofonica si fonde sull'emissione, da parte di un'antenna trasmittente, di onde elettromagnetiche con una determinata frequenza, riproducenti le variazioni d'intensità delle onde sonore raccolte in un microfono, con un'antenna ricevente che raccoglie e convoglia le onde verso un altoparlante che le trasforma, effettuando il processo inverso, in onde sonore, permettendoci di ascoltare ciò che la stazione ha trasmesso.
Il principio della trasmissione delle immagini è sostanzialmente lo stesso: una telecamera analizza l'immagine, la trasforma in impulsi elettromagnetici che un'antenna invia nello spazio; un'altra antenna convoglia le onde ricevute nel televisore il quale compie il processo inverso di sintesi trasformando le onde in immagini.
Bisogna tener presente che per trasmettere immagini in movimento la televisione ha dovuto superare, nei confronti della fototelegrafia (trasmissione di immagini fisse), difficoltà infinitamente maggiori in quanto per ottenere una corretta visione occorre che le singole immagini si susseguano sullo schermo ad intervalli più brevi del tempo di persistenza delle impressioni visive sulla retina dell'occhio (circa 1/30 di secondo).
Per trasformare un'immagine luminosa in una serie di segnali elettrici si utilizza un tubo a raggi catodici detto «iconoscopio», inserito in una telecamera.
L'immagine attraverso l'obiettivo della telecamera viene proiettata su una piastra situata nella posizione in cui nei tubi per la produzione dei raggi X, si trova l'anticatodo di metallo. La piastra è formata da un foglio di mica portante su una faccia un mosaico di piccolissime cellule fotosensibili formate da globuli di argento al cesio di pochi micron di diametro e sull'altra uno strato metallico mantenuto in costante elettrizzazione, ad un determinato potenziale. Al sopraggiungere dell'immagine i globuli d'argento vengono sottoposti all'effetto fotoelettrico, perdendo più o meno elettroni in rapporto all'intensità della luce che li colpisce (che corrisponde alle varie zone di ombra e di luce dell'immagine) caricandosi più o meno positivamente rispetto allo strato metallico da cui sono separati per mezzo del foglio di mica. Sul fotomosaico viene indirizzato un sottilissimo pannello di elettroni (raggi catodici) i quali provengono dal catodo dell'iconoscopio. Il pannello di elettroni esplora l'intero fotomosaico seguendo un percorso preciso, come se la superficie di questo fosse divisa in tante righe orizzontali.
Il movimento del fascio di elettroni è ottenuto grazie a due bobine dal flusso elettromagnetico variabile in modo da attirare scambievolmente, ora l'una ora l'altra, il fascio elettronico affinché esso possa esplorare con regolarità ed in brevissimo tempo l'intero fotomosaico.
Ogni volta che un elemento del fotomosaico, che si comporta, come abbiamo detto, come una piccola cellula fotoelettrica, viene raggiunto dagli elettroni, questi neutralizzano variamente la sua carica positiva provocando nella piastra metallica posta al di là della mica e nel circuito ad essa annesso una corrente elettrica. Questa corrente segue fedelmente le variazioni di luminosità che il fascetto di elettroni incontra esplorando il fotomosaico e costituisce il segnale televisivo.
Questo tipo di iconoscopio è il più semplice ma è stato perfezionato e sostituito dall'iconoscopio ad immagine elettronica.
In quest'ultimo l'immagine non viene proiettata direttamente sul fotomosaico ma su di un fotocatodo trasparente posto tra l'obiettivo della telecamera ed il fotomosaico.
L'immagine luminosa, filtrando attraverso il fotocatodo, provoca l'effetto fotoelettrico sulla faccia prospiciente il fotomosaico ed una corrispondente emissione di elettroni i quali vengono accelerati e focalizzati sul mosaico fotosensibile tramite lenti magnetiche. In tal caso si viene a formare un'immagine elettronica esattamente uguale all'immagine ottica proiettata dall'obiettivo.
Questa, dieci volte più fedele di quella prodotta da un iconoscopio tradizionale, viene trasformata in un «segnale video» seguendo il procedimento sopra descritto.
Il segnale video ottenuto, relativo ad ogni riga del fotomosaico esplorato dai raggi catodici, viene amplificato e trasmesso.
La trasmissione degli impulsi elettrici, soprattutto nei cosiddetti «circuiti chiusi» (fabbriche, laboratori etc.) viene eseguita tramite appositi cavi detti «coassiali».
Per quanto riguarda, invece, la radiotelevisione i segnali vengono inviati nello spazio da speciali antenne sotto forma di onde elettromagnetiche, in particolare di microonde ad altissima frequenza.
Giunte le onde alle antenne riceventi, inizia il processo inverso. L'antenna invia gli impulsi all'apparato ricevente del televisore la riproduzione delle immagini è sostanzialmente dovuta ad un «separatore di sincronismo» che separa dai segnali video quelli relativi alla frequenza di riga (sincronismo orizzontale) e quelli relativi alla frequenza di quadro (sincronismo verticale), e ad un «cinescopio» costituito da un tubo a raggi catodici con schermo solitamente rettangolare a luminescenza bianca e brevemente persistente.
Al catodo del cinescopio vengono applicati i segnali video in modo che la traccia sullo schermo fluorescente provocata dal fascetto di elettroni, fissa ad ogni momento l'intensità variabile dei segnali. Come nell'apparecchiatura trasmittente, il fascio di elettroni illumina l'intero schermo grazie a due coppie di bobine percorse da correnti a denti di sega, una coppia preposta alla frequenza orizzontale, l'altra a quella verticale.
Anche la messa a fuoco dell'immagine sullo schermo è ottenuta con sistemi elettromagnetici, con calamite, cioè, disposte opportunamente sul collo del tubo.
Schema: Tubo a raggi catodici
PERCHÉ SI METTONO LE ANTENNE TELEVISIVE SUI TETTI?
I programmi trasmessi dagli studi televisivi vengono diffusi da stazioni radiotrasmittenti simili a quelle usate nella radiodiffusione a modulazione di frequenza, con antenne «ad alto guadagno orizzontale», la cui portata, cioè, non va oltre l'orizzonte dell'antenna stessa.
Abbiamo visto come la trasmissione radiotelevisiva faccia uso di onde a frequenza molto alta, nel campo delle onde ultracorte e delle microonde, di assoluto andamento rettilineo.
L'area servita da una trasmittente televisiva è di conseguenza limitata: per coprire un vasto territorio, perciò, occorre installare un notevole numero di emittenti e soprattutto di «ripetitrici» che ricevono il segnale come un qualsiasi teleutente, lo amplificano e lo irradiano. Poiché ogni ostacolo che si frappone tra la trasmittente e gli apparecchi riceventi impedisce il normale cammino delle onde, le emittenti e soprattutto le ripetitrici sorgono nei luoghi più elevati della zona da servire.
La stessa cosa deve fare chi possiede un apparecchio televisivo ricevente, un televisore, se vuole godere di una visione perfetta: deve fare in modo, cioè, che nessun ostacolo si frapponga tra l'emittente o la ripetitrice e la propria antenna.
Non resta, dunque, che salire sul tetto della nostra casa e fissarvi l'antenna perfettamente orientata verso la trasmittente.